Il coordinatore di Coraggio Italia in Calabria: “Il fondamento della proposta referendaria sta tutto nell’articolo 111 della Costituzione”
CATANZARO – 1 GIUGNO 2022 – «Le ragioni stanno tutte nella Costituzione. Come ribadito da molti anche magistrati».
Lo afferma il deputato di Coraggio Italia, Felice Maurizio D’Ettore, tra l’altro coordinatore del partito in Calabria, sostenendo le ragioni del sì anche al quesito referendario del prossimo 12 giugno sulla riforma della giustizia.
Il quesito numero 3, in particolare, interroga i cittadini sulla separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione delle funzioni tra il Pm, organo dell’indagine, ed il giudice terzo ed imparziale.
«Se vince il sì come auguro che avvenga – aggiunge D’Ettore – il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.
In questa direzione l’articolo 111 della Costituzione è chiarissimo e rappresenta un baluardo insostituibile.
La norma e’ stata a suo tempo modificata per consentire la possibilità della separazione delle carriere, si sottolinea che la giurisdizione si attua nel giusto processo, regolato dalla legge, che si svolge nel contraddittorio ed in condizioni di parità tra le parti (accusa e difesa), davanti al giudice terzo ed imparziale.
Chiara la ratio dell’articolo nel mettere sullo stesso piano difesa e pubblico ministero, “governati” da un giudice terzo e imparziale.
Ecco perché Il sì convinto alla garanzia della sua “estraneità” rispetto al ruolo di parte dell’accusa che, per definizione, esercita l’azione penale».
Argomentando contro chi, schierato per il no, sottolinea che la separazione delle carriere tra magistrati potrebbe delegittimarli dinnanzi ai cittadini, D’Ettore fa sue le parole usate da Giovanni Falcone il 3 ottobre 1991, quando sostenne che: “un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo.
E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti.
Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri.
Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo.
È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte. Gli esiti dei processi, a cominciare da quelli di mafia, celebrati col nuovo rito, senza una riforma dell’ordinamento, sono peraltro sotto gli occhi di tutti”».

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