Regalavi a tutti il tuo bel sorriso accogliente e gentile. E a noi bastava quello. Perché ci faceva star bene, ci rassicurava, ci dava serenità.
E tu, tu di quel sorriso avevi un bisogno estremo. Per te era scudo, corazza, protezione. Era l’involucro dentro cui potevi nascondere angosce, incubi, paure. Quel nero fardello di disperazione che, lento e inesorabile, ti ha avviluppato e infine portato nei suoi abissi.
Te ne servivi, di quel sorriso, anche per non farci pesare il tuo male oscuro. Per non ‘disturbare’, per donarci sempre e solo allegria e bellezza.
E noi, nel frattempo, mentre tu lottavi di nascosto coi mostri interiori che ti rodevano l’animo giorno dopo giorno, noi non riuscivamo a vedere la tua malinconia, i tumulti e le lotte che si agitavano dietro al tuo sorriso. Egoisti e distratti, ci accontentavamo di quel sorriso che allietava la giornata. E poi andavamo via, tornavamo alle nostre faccende, magari pensando per qualche minuto ancora a quel caro amico che sorrideva sempre.
Quanti, invece, dopo una delle tue battute allegre, dopo aver goduto del tuo sorriso, quanti ci siamo fermati accanto a te per ascoltarti davvero? Quanti ti abbiamo guardato dritto negli occhi, per chiederti: “A parte il sorriso, come stai davvero Maurizio”?
Certo, tu ti saresti schermito, avresti cercato di deviare il discorso… per un attimo. Ma, probabilmente, avresti tanto voluto mettere da parte quella barriera di allegria con cui tenevi a freno i tuoi incubi e attraverso cui ci volevi donare solo momenti di gioia, per poter svelare finalmente le angosce che ti tormentavano e poter trovare un poco di pace.
Alla fine, quella barriera, quella corazza che ti eri cucita addosso, si è sfaldata. Si è rivelata pesante e inutile. Non è servita a proteggerti. E, per evitarci il peso del tuo stato, hai deciso di andartene. Noi restiamo, increduli e sconvolti. Allibiti di fronte alla scoperta di una persona diversa da quella che si conosceva. E ci interroghiamo… tra ricordi e sensi di colpa. Perdonami, caro Maurizio, per non essermi fermato più spesso accanto a te. Per non averti guardato negli occhi con più attenzione e amore. Per aver rubato ogni volta il tuo sorriso, senza vedere il tuo pianto. Vai in pace, adesso. Ti voglio bene.

Avv. Domenico Calabretta

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