Sono trascorsi trenta anni da quella sera tremenda di venerdì 9 agosto 1991, quando venne assassinato il giudice Antonino Scopelliti. A trent’anni dall’efferato omicidio mafioso, l’ex sindaco ed ex presidente della Regione Guido Rhodio lo ricorda: Nino vive nel cuore e nella perenne nostra gratitudine per il suo esempio e il suo sacrificio della sua vita nell’affermare la legalità. «Mentre l’automobile di servizio, svettando sull’autostrada del Nord Italia, dove come Vice Presidente avevo partecipato ad un incontro di colleghi su problemi regionali – racconta Rhodio – mi riportava verso casa e all’altezza di Firenze la radio sospendeva improvvisamente i programmi con la frase scheletrica: interrompiamo le trasmissioni per una notizia gravissima:in Calabria è stato ucciso un alto magistrato, vi daremo notizie sui particolari appena possibile. Le ombre da poco calate nel cielo crepuscolare si fecero più plumbee e minacciose: col mio fedele e bravo collaboratore che guidava, Pantaleone Grande, incrociammo i nostri occhi e pensammo all’unisono che questa volta era stato colpito, come da sempre temevamo, il nostro caro Antonino Scopelliti, sostituto Procuratore Generale della Cassazione. Senza aspettare gli aggiornamenti radiofonici contattammo immediatamente casa, dove il dramma si viveva da tutti con dolore e ammarezza, nella famiglia, nei cittadini sconvolti ed affranti. Mi dissero che Ciccio e Giulia, fratello e cognata, nostri farmacistie vicini erano partiti precipitosamente verso Reggio Calabria, sapendo che tutto era disperato e tragico. Costantemente informato dall’Ufficio stampa regionale, potetti raggiungere Campo Calabro, solo nel primo pomeriggio del giorno dopo, per abbracciare qualcuno dei familiari sconvolti e doloranti, e per prender parte – come amico intimo e fidato della famiglia e come massimo esponente della Regione – ad una specie di summit che le massime autorità tennero alla presenza del Capo dello Stato, on. Cossiga. Fu qui, in questa occasione eccezionale e tormentata, che ebbi l’onore di conoscere personalmente il giudice Giovanni Falcone e di sentire con le mie orecchie, nella breve sua riflessione, soffusa di tristezza e costernazione ed affranto all’inverosimile,sull’avvenimento, che aveva soppresso il suo collega ed amico stimato, pronunciando le parole premonitrici “ora tocca a me”, facendo chiaramente intuire che l’attacco criminale non si sarebbe fermato a quell’episodio sconvolgente ed amaro, ma sarebbe purtroppo proseguito, cosa che poi tragicamente avvenne. Rividi Falcone otto mesi dopo a Roma, il 7 maggio 1992, nell’incontro-confronto che ebbi col Governo centrale ed il Ministro dell’Interno Scotti, chiesto ed ottenuto dalla Giunta regionale da me presieduta da qualche mese, con il generoso tentativo (si avviò uno dei primi esperimenti di coalizioni tra forze tradizionalmente contrapposte come la Dc ed il Pds) di realizzare una solidarietà regionale che affrontasse e risolvesse, unitamente allo Stato, i problemi gravissimi che attanagliavano la Calabria, economici e sociali sicuramente , ma anche purtroppo di legalità e di ordine pubblico, che allora devastavano il territorio. Falcone era seduto quasi di fronte a me, nella fila degli alti esponenti dello Stato, immediatamente successiva a quella degli esponenti del Governo e del Parlamento. Ci salutammo velocemente appena finì l’incontro, raggiungendo entrambi il centro del salone, e, con l’assicurazione che ci saremmo rivisti, mi confermò il personale impegno per il caso Calabria e mi incaricò di portare i suoi saluti alla famiglia di Nino. Quindici giorni dopo, il 23 maggio, purtroppo venne il suo turno, con la strage di Capaci, e qualche mese dopo quello di Borsellino, con la strage di via D’Amelio, confermando quanto aveva previsto e detto in casa Scopelliti. Poi vennero gli estenuanti ed interminabili processi giudiziari (che almeno ci dicono senza alcun dubbio la regìa della cupola mafiosa nell’orrendo delitto); si dipartono i ricordi, i libri, le battaglie civili in suo nome; i silenzi e le assenze dei finti amici;le celebrazioni e le intitolazioni che riprendono dal dimenticatoio ingiusto e inaccettabile, verso questo grande e generoso servitore della repubblica, talvolta inspiegabilmente accodate , come se il suo martirio fosse di livello minore, come ebbe ad avvertirci Antonino Caponnetto, che già, nel 1994, mostrava la preoccupazione “che il Paese non dimentichi questo suo eccezionale servitore e la sua lezione di dignità, devozione e professionalità”». Rhodio, inoltre, ricorda che «a Squillace – dove la sua presenza era costante in visita alla famiglia del fratello e nipoti, con cui amava fare i bagni al mare; per incontri culturali con amici e con sacerdoti che ne apprezzavano il carattere cordiale e la preparazione giuridica e umana (mons. Facciolo lo utilizzava spesso per conferenze e dibattiti destinati ai giuristi cattolici calabresi) – oltre alle varie commemorazioni in suo onore, nell’agosto 2014 la Giunta Comunale decise di intitolargli una strada principale del quartiere marina, ed era stata anche programmata la cerimonia per il 26 novembre con intervento di autorità e della banda nazionale della Polizia di Stato, ma all’ultimo momento fu necessario rimandarla ad altra data per motivi di opportunità. Nel dicembre 2011, in occasione del rifacimento del Municipio, alla presenza di autorità e dell’arcivescovo mons. Bertolone, la stessa sala della Giunta Comunale fu dedicata la suo nome». In anni più recenti, nel corso di una manifestazione turistica affollatissima al Castello, tramite l’ex sindaco Rhodio venne consegnata una targa alla figlia onorevole Rosanna Scopelliti, anche in riconoscimento del prestigio con cui ella tiene alta la Fondazione Scopelliti e il gruppo “Ammazzateci tutti”. «Si tratta – conclude Rhodio – di gesti, magari da ribadire e da perfezionare, che indicano indubbiamente la permanenza di omaggio e di riconoscenza al sacrificio di un uomo e di un magistrato integro, generoso ed esemplare; ma, insieme a quella che rinnoviamo oggi, essi costituiscono per tutti, ancor più, una manifestazione-segnale, simbolo per dire che nel nostro territorio e nella nostra città la mafia non passerà giammai».

Carmela Commodaro

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