SQUILLACE – A Osvaldo Napoli, parlamentare e fratello del compianto ex sottosegretario della Dc Vito Napoli, è stata conferita la cittadinanza onoraria del Comune di Squillace. La cerimonia si è svolta venerdì scorso nell’ambito della manifestazione “Squillace Day”, organizzata dall’assessorato comunale al Turismo, guidato da Franco Caccia. L’iniziativa si è svolta in piazza Duomo, aperta da una mostra fotografica sulla Squillace di una volta e proseguita con una serie di testimonianze di squillacesi di nascita o di adozione, che vivono fuori e che hanno raccontato le loro storie: Agazio Samà, Pino Vallone, Gaudenzio ed Ermanno Voci, Silvio Nolfo, Maria Rosaria Juli, Caterina Catania, Giuseppe Mungo, Lino Pedatella, Gaetano Carito e Marcello Cirillo. Il sindaco Pasquale Muccari, l’assessore Caccia e l’ex presidente della Regione Guido Rhodio hanno accolto Osvaldo Napoli, ricordando la sua famiglia di squillacesi emigrati nel dopoguerra. Dal canto suo, l’onorevole Napoli si è commosso più volte quando ha parlato dei suoi congiunti e ricordato diversi episodi della vita familiare. «Sono cittadino onorario – ha affermato – nel comune dove sono nati e cresciuti i miei genitori, la mia famiglia. Era Vito Napoli, mio fratello che per tutta la vita non ha fatto altro che parlare, a noi in famiglia, e a chiunque altro condividesse con noi la nostra vita di piemontesi acquisiti, di Squillace, di questo mare unico al mondo, di questa costa bellissima, e soprattutto di questa gente, degli squillacesi, che lui conosceva uno per uno, per averli frequentati e vissuti per lunghi anni, come un tempo faceva e sapeva fare la vecchia politica. Era Vito che, ogni qualvolta tornava a casa nostra da Roma a Torino, riempiva la nostra vita di aneddoti, di storie personali, di vicende vissute, di riferimenti fisici e di luoghi cari alla memoria storica di ognuno di noi, e tutti strettamente e rigorosamente legati alla storia di Squillace. Vito aveva la Calabria nel cuore, l’aveva da ragazzo, l’ha conservata da grande, ed è morto con il desiderio di poter salutare in tempo tutti i suoi amici più cari, e la stragrande maggioranza dei suoi compagni di lotta -con cui per anni aveva condiviso le ragioni ideali e reali della Calabria, terra dove lui aveva di fatto trasferito la sua vera residenza. Vito Napoli e la Calabria, e questa sera aggiungo Vito Napoli e Squillace, erano una cosa sola. Vedo qui il presidente Guido Rhodio. Chi meglio di lui potrebbe raccontarlo? Mi piace ricordare mio fratello questa sera, qui a Squillace, perché sono sicuro che dovunque egli sia, e ci stia a vedere, sarebbe fiero di sentire queste cose raccontate alla sua gente e al suo paese natale. Grazie per questo onore reso questa sera alla mia famiglia, ai “Napoli di Squillace”, a questi ex ragazzi di Calabria che poi nella vita hanno anche avuto successo, ma che per tutta la vita si sono anche portati dentro il tarlo, pesante, della malinconia e della solitudine dei propri genitori, di chi per forza di cose è costretto e condannato all’emigrazione. Dico tutto questo, pure essendo io nato a Torino, ma per tutta la vita i miei genitori mi hanno ripetuto che il mio paese di origine fosse Squillace. Torino – credetemi – non è solo la bellezza della Mole Antonelliana o la magia della Sindone. Torino è stata anche la città delle mille privazioni per noi, delle grandi lotte operaie e sindacali, e noi ci stavamo in mezzo, ma anche delle grandi sconfitte, Torino era per antonomasia in quegli anni la città insensibile nei riguardi di noi cafoni del Sud». Napoli ha poi raccontato un particolare episodio vissuto da ragazzo. «Ogni mattina – ha detto – mia madre mi mandava dal lattaio a prendere il latte per la colazione, e ogni qualvolta arrivavo davanti al bancone da dove questo vecchio piemontese mi porgeva la bottiglia di vetro piena di latte, davanti a tutti non faceva altro che gridarmi sempre lo stesso ritornello: “Di’ a tua madre che o domani mi paga il latte che ti do oggi o non farti più vedere nel mio negozio”. Tutto questo davanti a tutti. A Torino abbiamo imparato a subire, anche i ricatti morali più squallidi e più impietosi. Soprattutto abbiamo imparato a non reagire. A Torino la mia famiglia ha penato duro. Ma era il destino comune della gente del Sud. Mio padre lasciò Squillace agli inizi degli anni ’40, ma per lunghi anni ancora Torino ci guardò e ci giudicò come appestati. Noi eravamo la volgare mano d’opera, che serviva a loro, piemontesi, per costruire le loro infrastrutture e le loro città. In realtà noi siamo poi stati i veri grandi artefici dello sviluppo piemontese e della crescita industriale di tutto il Nord Italia. E come i “Napoli di Squillace”, migliaia e migliaia di altre famiglie calabresi e meridionali. Guai a dimenticarlo. Grazie Squillace, grazie sindaco, grazie squillacesi, per aver riaperto per un giorno il grande romanzo della nostra vita di famiglia».
Carmela Commodaro

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