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Mentre la startup cinese fa tremare i mercati, l’Europa fatica a entrare nella partita. E il nodo è culturale, non solo economico.

di Francesco Pungitore (giornalista esperto di AI)

L’alba di una nuova era (e di un nuovo conflitto)
Negli ultimi mesi, il settore dell’intelligenza artificiale ha vissuto un’accelerazione senza precedenti, segnata da due protagonisti apparentemente invincibili: OpenAI, con il lancio di ChatGPT-o1, un modello capace di ragionamenti complessi e dialoghi sempre più simili a quelli umani, e Nvidia, che ha continuato a dominare il mercato hardware con chip progettati per sostenere modelli di AI sempre più voraci di potenza computazionale. Insieme, sembravano aver tracciato la strada maestra verso l’Intelligenza Artificiale Generale (AGI), l’ambizioso traguardo di macchine in grado di apprendere e agire come un essere umano.

Ma come spesso accade nella storia della tecnologia, l’innovazione più dirompente è arrivata da dove meno ci si aspettava.

DeepSeek: il terremoto low-cost made in China

A sconvolgere gli equilibri è stata DeepSeek, startup cinese fondata meno di due anni fa, che ha lanciato un modello di intelligenza artificiale open-source, gratuito e – secondo molti test indipendenti – altrettanto potente di ChatGPT-o1. La differenza? Costi operativi dieci volte inferiori e un’efficienza che sfida il dogma secondo cui l’AI avanzata richieda necessariamente supercomputer e budget miliardari.

DeepSeek utilizza un approccio ibrido, combinando l’elaborazione del linguaggio naturale con una ricerca contestuale in tempo reale. La doppia funzione DeepThink + Search permette di ottenere risposte più accurate con un consumo di energia drasticamente ridotto. Risultato: l’app ha superato ChatGPT nelle classifiche degli store globali in 72 ore, diventando virale in Asia, Europa e Stati Uniti.

Effetto domino sui mercati (e sui server)

L’ascesa di DeepSeek ha avuto ripercussioni immediate. Nvidia ha visto crollare le proprie azioni del 7,3% in due giorni, mentre Microsoft – principale investitore di OpenAI – ha registrato una perdita di 54 miliardi di dollari in capitalizzazione. «Il mercato teme che il modello a costi stratosferici di Big Tech sia insostenibile», commenta Rachel Zhou, analista di Morgan Stanley.

Ma non mancano le ombre: da tre giorni, i server di DeepSeek sono soggetti a interruzioni frequenti, con la società che parla di «attacchi hacker mirati». Un dettaglio che alimenta sospetti su possibili guerre sotterranee tra competitor.

Il rebus Europa: accademia sì, innovazione no

La vera domanda, però, risuona a Occidente: perché un’innovazione come DeepSeek non nasce in Europa? Il continente vanta centri di ricerca d’eccellenza, come il Politecnico di Losanna o il Max Planck Institute, e un PIL combinato superiore a quello cinese. Eppure, secondo un rapporto dell’Osservatorio AI UE, solo il 12% delle startup europee nel settore raggiunge la fase di scaling.

Il problema non è la mancanza di cervelli, ma di ecosistema. Mentre in Cina lo Stato finanzia aggressivamente e in Silicon Valley i venture capital scommettono sul rischio, in Europa prevale la paura di fallire. E senza fallimenti, non c’è innovazione radicale.

La corsa è solo all’inizio

DeepSeek ha dimostrato che la partita per il futuro dell’AI è ancora aperta. Ma mentre Stati Uniti e Cina corrono, l’Europa rischia di restare intrappolata in un circolo vizioso: regole stringenti che limitano l’accesso ai dati, finanziamenti frammentati e una cultura che premia la prudenza. E il mondo, come sempre, non aspetta.

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