“Mentre vado. Diario di incontri” è il titolo del nuovo libro di Lucio Simonato edito da Cleup Unipd. Un immaginario vagabondo dei nostri tempi è il protagonista di questa storia; il suo nome è Sebastiano. L’autore si rispecchia nel protagonista Sebastiano che, nel suo vagabondare, compie una ricerca attraverso 30 interviste, dialogando con svariati personaggi, una ricerca dell’umanità che ci circonda. Un diario di racconti e di incontri di storie attuali, di vita vissuta, reale. I racconti di Sebastiano sono diretti, senza fronzoli, con un linguaggio e una narrazione pacati, ma nello stesso tempo reali. Traspaiono nei racconti dei personaggi tematiche attuali che portano il lettore a riflessioni e domande inevitabili; i personaggi sono persone comuni e persone di rilievo sociale. I temi toccati in questo libro sono diversi: il fine vita, il carcere, l’omosessualità, la giustizia, il bene e il male, la mafia, i bambini figli di mafiosi, il giornalismo. Lucio Simonato ha lavorato nell’ambito socio-sanitario, dal 2000 lavora per l’Unità sanitaria Pedemontana in Veneto. Laureato in Scienze del governo e politiche pubbliche all’Università di Padova, Simonato è alla sua seconda pubblicazione: il suo primo libro è del 2014 dal titolo “Con i loro occhi, con la loro voce”. Con Lucio Simonato abbiamo fatto quattro chiacchiere per approfondire il suo ultimo libro.
- Questa è la tua seconda opera, perché un nuovo libro su temi così diversi?
Il mio primo libro “Con i loro occhi con la loro voce” (Cleup, 2014), che raccontava l’immigrazione attraverso la testimonianza di persone immigrate, mi aveva permesso di approfondire il tema che mi ero prefisso e di sperimentare il metodo dell’intervista, libera, anonima, destrutturata, cioè senza una griglia fissa di domande. Era un metodo nuovo per me, rischioso anche per questo, ma mi aveva mostrato quanto l’incontro, il dialogo a tu per tu, offra una grande opportunità all’autore e all’intervistato in clima di reciproca libertà. - Chi è Sebastiano, e quanto c’è di te in Sebastiano?
Per rispondere a questa tua domanda cito la quarta di copertina nella quale bene è tratteggiata questa figura ed offre un po’ la sintesi del libro: “Sebastiano, immaginario vagabondo dei nostri giorni, è il protagonista di quest’opera che si snoda attraverso un cammino di incontri. Dialogando con personaggi diversi, ponendo quesiti, appassionandoci alle loro storie, Sebastiano lascia fluire le loro parole senza mai perdere di vista la propria curiosità. Si confronta con persone comuni o di chiara fama e prestigio, e le interpella liberamente attraversando le inquietudini sue e del nostro tempo. Lo sentiremo pensare a voce alta, discorrere di campi e di pecore, di imprenditoria e di tradimento, di omosessualità e di fine vita, di lotta tra il bene e il male, di giustizia, di carcere, di mafia e di bambini figli di mafiosi, di corpi speciali e di giornalismo. Incurante di ciò che sembra, delle critiche e delle derisioni, è interessato a tutto e ci appassiona alle vicende, vive nel suo mondo e parla con chiunque lo ispiri. Con Sebastiano l’autore architetta un gioco di specchi tra sé e il suo alter ego vagabondo, e ci fa compiere un viaggio lungo vie inusuali, poco, poco tracciate, che possono affascinare o disorientare il viandante spinto dal desiderio di capire”. Mi domandi quanto di me c’è in Sebastiano, ti posso rispondere che c’è tanto. Sebbene mi sia ispirato a vagabondi che abitano i portici e i marciapiedi delle nostre città, mi sono celato nei panni di Sebastiano per essere come un tessitore che con il suo suo filo unisce tutti gli incontri. - Il prof. Luigi Gui, autore della prefazione, ha definito il tuo lavoro “un libro-pellegrinaggio”. Per quale motivo, secondo te?
Un libro-pellegrinaggio, forse un libro che si fa pellegrinaggio. In generale il termine pellegrinaggio designa un viaggio, spesso a piedi, verso un luogo di culto sacro. Nel mio libro credo che il luogo sacro sia l’uomo, le sue fatiche, i dubbi, il suo pensare. Dopo la mia prima esperienza letteraria sull’immigrazione, c’erano altri temi individuati, dal vivere e dal quotidiano, che desideravo studiare, sempre dal punto di vista sociologico, e volevo farlo attraverso dei testimoni che per questo ho scelto, ho cercato, persone che fossero disponibili a dialogare con me. Credo che il prof. Gui abbia riconosciuto questo mio desiderio e l’abbia voluto sottolineare. - Hai avuto modo di incontrare 30 persone e di scrivere di 30 incontri, come hai scelto gli argomenti e come hai scelto le 30 persone?
Anch’io, nello scrivere il libro, ho compiuto un cammino. Individuati i temi, che volevo fossero argomenti sensibili di estrema attualità che toccano il cuore dell’uomo, ho cercato dei testimoni che fossero disponibili a discutere con me, liberamente. L’anonimato che io garantivo ha facilitato l’incontro, che in questo modo è sempre stato vero, intenso e ricco, spesso ancor più ricco di quanto avessi immaginato. - Questa tua nuova opera che tipo di libro è? Cosa speri da questo libro?
Bella domanda, me la sono posta anch’io. Posso dire che non è un romanzo, anche se il testo di molti incontri potrebbe esserlo, non è una cronaca giornalistica, non è un libro di fantasia. Lo definirei piuttosto un libro di ricerca, un saggio sociologico che indaga situazioni della vita attraverso l’ascolto attivo. Mi piacerebbe che il libro fosse notato come lo è stato il mio primo, che ha avuto riconoscimenti dalla Regione, dal Ministero dell’Interno, dal Ministero delle Politiche Sociali, e mi ha portato a Roma, Venezia, Padova, Milano, e in tante località, ma soprattutto io spero che chi lo leggerà sarà contento di averlo letto avendo trovato, magari, prospettive nuove. Ultima domanda, un po’ provocatoria. Ci vuole coraggio per scrivere un libro così. Non so se ci vuole coraggio, mi sembra di non aver fatto niente di così ardito. Più che coraggio riconosco che per scrivere questo libro mi sono state necessarie pazienza, costanza e umiltà. Incontrare gli altri, per scrivere un libro come nel mio caso ma come per tutti gli altri casi, vuol dire mettersi lì con rispetto, chiedendo, aspettando il tempo e il momento che l’interpellato stabilisce. Questi sono stati gli elementi che ho messo in campo, e con orgoglio posso sinceramente affermare di non aver speso nulla, e di non aver pagato nemmeno un centesimo a quanti ho incontrato per scrivere il mio libro che hanno accettato di farlo per potersi raccontare ed essere ascoltati.
Carmela Commodaro