Riceviamo e pubblichiamo
(dal sito “Terni in Rete”)
Di GASPARE BAGGIERI (*)
Attualmente ragionare nella concretezza di questa guerra comporta riflessioni di difficile conclusione. I giornalisti da salotto del perbenismo benpensante utilizzano la retorica della pietà, della compassione e della solidarietà spendendo parole e riferimenti molto spesso macchiettistici che vanno dalla resistenza italiana, alla guerra fredda, alla condivisione del diritto di difesa degli ucraini in nome del nazionalismo ,del patriottismo e così via. Un circo mediatico che fa delle immagini di guerra la cifra ipocrita che privilegia e tocca le corde più intime delle appartenenze umane. Non solo , ma per dare equilibrio alle opinioni c’è chi discetta in nome e per conto della verità con argomentazioni anche opposte, ora filorusse ora filoucraine, non importa fa audience. Ma nazionalismo e sovranismo non erano aspetti da condannare? Ed ancora, nel 2022 in piena globalizzazione che senso ha tutto questo, non dovremmo essere cittadini del mondo? O forse abbiamo fallito; se non riusciamo ad essere europeisti condivisi (vedi Macron e Sholtz che parlano con Putin escludendo l’Italia). Intanto gli ucraini che già vivevano in condizioni di povertà, muoiono. Le loro città sono distrutte, devastata la loro anima, le donne e i loro figli profughi erranti per l’Europa, che destino avranno? Le posizioni assunte dai recenti accadimenti in tema di cultura hanno visto la condanna delle lezioni su Dostoevskij alla Bicoccca di Milano, ai sipari calati in diversi teatri per impedire esibizioni di artisti russi, l’interruzione degli scambi delle opere d’arte tra musei, e tante altre attività di collaborazione culturale la qual cosa non depone a mio avviso ad un ripristino di pace e concordia. Ben diversa, comprensibile e condivisa la scelta europea d’interrompere manifestazioni atletiche, incontri sportivi e sfide di calcio, aspetti questi che per loro natura prevedono un vincente ed un perdente, una bandiera, ed un inno, quindi l’esaltazione di forza e supremazia che in termini psicologici danneggiano tutte le comunità che subiscono la guerra, un rito di umiliazione e sconfitta che giustamente ci siamo risparmiati.
Peccato che in tema di cultura, dalla danza al cinema, dal teatro alla letteratura, dalla pittura alla musica, l’arte tutta esprime bellezza e tocca le corde più sensibili dell’animo umano che consente una complicità di purezza di sentimenti che uniscono le umanità più differenti. Il vero linguaggio delle intimità dell’uomo. Pietro il Grande colse questo aspetto dell’arte italiana invitando gli architetti italiani a progettare la nuova “città ideale” di San Pietroburgo. Si sono succeduti nel tempo Domenico Trezzini, Bartolomeo Rastrelli, Carlo Rossi, architetti che hanno lasciato una incisiva rappresentazione dell’architettura italiana.
Testimonianze alle quali era stata affidata sulla fiducia una responsabilità interpretativa quale espressione di un pensiero ideologico e di bellezza lungimirante, che andasse oltre la rappresentazione del momentaneo potere dello Zar. San Pietroburgo la Venezia della Russia. Fece progettare e realizzare a Carlo Bartolomeo Rastrelli e al figlio Francesco il Palazzo d’Inverno, palazzo imperiale che diverrà alcuni anni dopo integrato da altri ambienti sede, dell’Ermitage. Nel 1917 sarà il simbolo della conquista della rivoluzione d’ottobre, ma non per questo verrà abbattuto. Allo stesso tempo Pietro il Grande esortava gli intellettuali e gli aristocratici a recarsi in Italia. Grandi romanzieri e poeti russi come Cechov, Gogol, Dostoevskij, hanno steso una sostanziosa letteratura soggiornando a Venezia e a Firenze. Storicamente quindi l’Italia per il suo patrimonio storico artistico è sempre stata ammirata dalla Russia. Si sono rafforzati in un dialogo sottotraccia rapporti molto profondi che possiamo per certi versi ricondurre, ad esempio, agli scambi frequenti di opere d’arte tra musei dei due Paesi.
Nella primavera del 2019 all’Ermitage, una mostra sui Longobardi, raccontava, in una particolare frazione storica del VI VII secolo d.C. un pezzo della storia dell’Umbria. Infatti, proveniente dalla tomba n.1 della necropoli “il Portone” di Nocera Umbra, faceva sfoggio la splendida spada cerimoniale, in ferro con impugnatura d’oro. Il reperto appariva quale testimonianza più suggestiva delle opere esposte, tanto che la sua immagine è stata trasposta nella copertina del corposo catalogo. In bella compagnia altri due preziosi oggetti; dalla tomba 162 la fibula di argento d’orato, e dalla tomba n. 17 una collana con sette tremissi d’oro di Giustiniano.
Ora in termini simbolici, l’esposizione della spada cerimoniale da parata, anziché arma da guerra esprimeva la valenza di pace e rispetto. Riferita ad un contesto storico molto particolare che nonostante i conflitti di guerre e le tormentate relazioni con altre popolazioni barbariche, aveva visto col sostegno di papa Gregorio Magno la conversione al cattolicesimo della regina Teodolinda e del popolo longobardo. Una posizione politica spiazzante, che Influenzerà notevolmente le relazioni con i bizantini che in termini di cristianesimo da: Salonicco, a Costantinopoli, Vladimir, Kiev, Novgorod, tanto per citare alcune delle località più famose, lascerà in una manciata di secoli nelle chiese cristiano ortodosse, tracce di un preziosismo d’arte (cicli pittorici e di mosaici), di rilevante interesse mondiale. Un abbraccio geografico che passa per Venezia e si chiude con la chiesa di Roma, quasi a voler comunicare che siamo culturalmente e antropologicamente uomini appartenenti ad un’unica entità.
In questo senso il linguaggio dell’arte può svolgere un ruolo determinante per non dimenticare i principi faticosamente fin qui raggiunti di uguaglianza, di confronto e dialogo e questo per abbattere muri e costruire ponti per disinnescare guerre e tentazioni perverse ed egoistiche.
L’ Italia può fare molto e contribuire alle scelte europee ripristinando le relazioni culturali con i nostri interlocutori russi, intellettuali, artisti e uomini di scienza, sostenere l’Ucraina e portare Putin a più miti consigli. Un timido riavvicinamento che potrebbe essere utile per l’Europa in cerca di un negoziato che tarda ad arrivare. Una lezione di Civiltà per ricordare, e questo non vuol dire subire, che siamo portatori e consegnatari in nome della pace, di arte, bellezza e cultura, che poi è la nostra autentica identità.
(*) antropologo