Troppi prodotti finiscono in discarica per limiti di“shelf-life”: ma davvero dopo quella scadenza non sono più “buoni” e devono essere buttati?Un paradosso drammatico in tempi di crisi alimentare e carenza di cibo

di Giovanni Sgrò*

Sacchi di pasta gettati nell’immondizia. E così anche farina, olio, yogurt e tanti altri beni di prima necessità. Un paradosso drammatico in tempi di crisi alimentare e carenza di cibo. In tavola, nel frigorifero o nelle dispense delle famiglie quei prodotti non arrivano mai. Il loro destino è direttamente in discarica, dopo che hanno concluso la “shelf-life”, la “vita a scaffale” determinata dalla loro durata di conservazione. Una data molto spesso indicativa che troviamo in etichetta e che ci informa sulla vita commerciale di un determinato prodotto. Ma davvero, da quel giorno, quel prodotto non è più “buono” e deve essere buttato? Ci possiamo permettere, oggi, questo tipo di spreco alimentare? Perché un conto è la “vita utile” in termini commerciali, un altro è dire che ci siano effettivi rischi per la salute del consumatore. Una tematica certamente complessa, in cui intervengono molte variabili (di qualità, processo, confezionamento, ambientali), ma che in un momento di grave crisi economica e di inflazione, come quello che stiamo vivendo, forse necessita di un adeguato approfondimento. Si potrebbe, ad esempio, pensare, con gli opportuni controlli di sicurezza, di prolungare la “shelf-life” di determinati beni di prima necessità. A trarne beneficio sarebbero tutti, compresi gli operatori della filiera alimentare nella gestione delle scorte e nella distribuzione. Ma anche e soprattutto i consumatori, che troverebbero più quantità di prodotti e a prezzi molto più contenuti. Un primo passo da fare, intanto, potrebbe già essere quello di fare adeguata chiarezza e informazione sulle indicazioni in etichetta. E’ risaputo, infatti, che la prima causa di spreco alimentare sta proprio nella confusione, da parte del consumatore, rispetto alle indicazioni sul termine di conservazione degli alimenti. La dicitura “da consumare entro” individua come termine perentorio per il consumo dell’alimento quello riportato con la data in etichetta: oltre tale data, l’alimento rappresenta un rischio di sicurezza alimentare. L’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro”, invece, individua il cosiddetto termine minimo di conservazione, ovvero quella data entro la quale l’alimento conserva l’optimum delle sue caratteristiche qualitative, ma oltre la quale l’alimento può ancora essere consumato. Una soglia temporale, quindi, oltre la quale il cibo è ancora edibile e mantiene un buon odore e un buon sapore. L’Agenda 2030 dell’Onu ha fissato degli obiettivi precisi: «Entro il 2030, dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura». Perché non iniziare subito, attivando un circolo virtuoso del cibo a scadenza?

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