Un milione di euro per la riqualificazione e il restauro della chiesetta di Santa Maria della Pietà, una minuscola reliquia svevo-angioina, probabilmente frammento di edificio templare, notissimo agli studiosi e ai visitatori e che ha bisogno di urgenti e improcrastinabili restauri e consolidamenti. Lo stanziamento ministeriale c’è e l’intervento dovrebbe essere avviato entro il prossimo anno. L’architetto Francesco Vonella, direttore della sezione di Catanzaro della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio di Catanzaro-Crotone, ha preso a cuore la pratica. «Siccome sono in via di pensionamento – ci ha detto durante un’intervista – mi piacerebbe lasciare che questo procedimento possa proseguire da solo con le figure professionali che andranno a realizzare il lavoro». Il progetto prevede il restauro di consolidamento filologico conservativo. Sarà trattato come un monumento, perché è appunto un monumento unico e raro. «Abbiamo impiegato un po’ di tempo – afferma – per approfondire una serie di conoscenze, fonti storiche, di ricerca bibliografiche per avere la conoscenza profonda del monumento. Tutto quello che noi non abbiamo trovato negli archivi abbiamo fatto in modo che ce lo dicesse il monumento stesso inteso come archivio materico vero e proprio per intervenire in modo certo». Alla domanda se la chiesetta facesse parte di un complesso più grande, l’architetto Vonella risponde: «Da quelle che sono le fonti bibliografiche e le ricerche in nostro possesso sicuramente faceva parte di qualcosa di molto più vasto, però non ci sono le condizioni né i presupposti e neanche le condizioni economiche per potere approfondire questo argomento di conoscenza perché di sopra ci hanno costruito le case e quindi di conseguenza non è che possiamo smantellare le abitazioni di mezzo paese; però, il sospetto è questo: ci porta a ipotizzare che faceva parte di qualcosa di molto più vasto più complesso, anche perché non va visto nella situazione attuale come lo conosciamo oggi, va immaginato come poteva essere l’impianto originale che sicuramente non era come lo vediamo oggi. E con la conoscenza che abbiamo di quello che è il complesso e l’aggregato urbano sicuramente faceva parte di qualcosa molto più vasto. Esempi ve ne sono tanti soprattutto a Squillace: tutta la zona dell’area di San Giorgio, tutta la zona di Santa Chiara faceva parte tutto di un complesso, Squillace ha una storia millenaria per cui ogni pietra racconta qualcosa e questo monumento sicuramente è stato ricostruito, ce ne siamo resi conto da quella che è la tessitura muraria, che è stato demolito ed è stato ricostruito in un sito riutilizzando lo stesso materiale; questo ce lo dicono la posizione dei conci come sono stati messi. Chi l’ha ricostruito dopo il terremoto del 1783 ha riutilizzato gli stessi conci, però quel tipo di tessitura muraria con i conci posizionati in quel modo è diversa da quella che è la parte principale, perché ci sono tre tessiture murarie e allora questo ci porta a supporre che sia stato ricostruito con gli stessi materiali che erano sul posto. Abbiamo visto che ci sono conci fuori squadro, conci messi in verticale, conci messi leggermente obliqui, questo ci dice che non può essere una costruzione originale. Il sito dell’ubicazione è quello originale, nel 1763 o 93 è stato adibito a chiesa di culto, poi sconsacrata, questo monumento ha tutta una storia sua particolare. Questa chiesetta per la città di Squillace è veramente importante. Noi come Soprintendenza abbiamo utilizzato più tempo per approfondire la conoscenza per essere sicuri della metodologia che andiamo ad attuare per il restauro di consolidamento di questo monumento».
Carmela Commodaro

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