Il 16 gennaio sarà benedetta la cappella restaurata di Sant’Agazio nella basilica cattedrale di Squillace. In occasione della festa per la Traslazione delle reliquie del santo patrono, arriverà, inoltre, il nuovo arcivescovo di Catanzaro-Squillace mons. Claudio Maniago, insediatosi domenica scorsa. La realizzazione del recupero, consolidamento e restauro della cappella dedicata a S. Agazio, finanziata dalla Cei, è stata proposta dall’architetto Maria Teresa Alcaro nel 2014 alle autorità arcidiocesane. L’arcivescovo Vincenzo Bertolone ne ha condiviso i contenuti. Inizialmente comprendeva l’adeguamento architettonico del presbiterio e dei transetti nella cattedrale di Squillace; poi è stato dalla stessa Alcaro esteso nel 2017, in accordo con l’arcidiocesi, anche alla cappella di S. Agazio e al risanamento delle murature dell’intero palinsesto riguardo all’umidità di risalita. I lavori, diretti dall’architetto Alcaro, sono stati svolti dalla ditta affidataria “RoGu di Roberto Guzzo” di Catanzaro, e dalla ditta esecutrice “Restauri Giuseppe Mantella” di Isca sullo Jonio. L’obiettivo fondamentale di tutto il processo edilizio è stato sin dall’inizio quello di fissare una sorta di linee guida per tutti gli interventi a seguire che potranno essere realizzati sul ricco patrimonio storico-artistico presente sul territorio. I lavori hanno avuto inizio nel dicembre 2020. Il processo edilizio si è articolato in quattro fasi: ricerca storica dell’intero palinsesto; conoscenza del manufatto architettonico, rilievo dello stato di danno, dei dissesti e del degrado; individuazione e verifica degli interventi risolutivi-progettazione; realizzazione dell’opera. «La fase più importante – spiega l’architetto Alcaro – oltre alla ricerca storica, per cui si ringrazia la Biblioteca Diocesana “Cassiodoro” che molto ha collaborato nel reperire il materiale storico necessario, al fine di realizzare un intervento tecnicamente ed eticamente corretto, è stata l’esecuzione di un approfondito rilievo circa lo stato di conservazione della cappella dedicata a S. Agazio. Tale rilievo è stato eseguito attraverso sia la ricognizione visiva che, accompagnata da un’attenta e scrupolosa analisi empirica dei materiali e degli strati visibili, è stata indispensabile per la formulazione di una prima metodologia d’intervento, sia mediante il riconoscimento delle forme di alterazione presenti e standardizzate dal lessico NorMaL 1/88. L’applicazione di questo metodo ha permesso di definire, in maniera univoca, le tipologie di degrado superficiale, le cause e le forme di manifestazione. Tutte le informazioni raccolte e graficizzate, con una mappatura in falsi colori, con legenda e schede allegate, descrivono le tipologie di degrado, le loro probabili cause, l’ubicazione sul manufatto e la fenomenologia con riprese fotografiche georeferenziate». Allo scopo di creare un intervento “partecipato” sia per gli addetti al settore sia per tutta la popolazione, nei pressi della cappella, sin dall’inizio dei lavori, è stato posto un banner che riporta le informazioni raccolte e gli interventi da eseguire. Da questa importante indagine svolta si è costatato che sia la cappella di S. Agazio sia l’intero palinsesto versavano in un grave stato di degrado pressoché diffuso, presente sia nella parte antica (ricostruita a cominciare dal 1787) sia in quella realizzata negli anni 1990/1991. Tale degrado ha notevolmente indebolito gli intonaci e creato processi di distacco, polverizzazione, efflorescenza e scagliatura oltre ad una notevole presenza di sali superficiali. La maestosa cupola, dipinta con finti lacunari, presentava piccole fessurazioni, mancanza di materiale e un diffuso attacco biologico particolarmente accentuato. L’aggiunta di una zoccolatura di marmo ne ha peggiorato ulteriormente lo stato di conservazione. All’interno della cappella, sia a destra sia a sinistra, erano presenti agli angoli due piccole nicchie con alla base cherubini, apparentemente realizzati in gesso (in fase successiva, dopo gli opportuni indagini e saggi non invasivi, risultavano essere realizzati di pietra calcarea ma ricoperti di abbondante strato di intonaco e pitturazione), in pessimo stato di conservazione con evidenti processi di polverizzazione e mancanza di materiale. La cappella è stata anche frutto di diverse operazioni di “ridipintura” tanto da coprire interamente le superfici che, al momento della realizzazione, dovevano essere state realizzate in stucco con la tipica finitura a marmorino. Infatti dopo i saggi e gli interventi si è riportato alla luce l’antico marmorino. I marmi policromi, che ricoprono le pareti a destra e a sinistra della cappella, presentavano processi di polverizzazione e di sollevamento, dovuti all’umidità presente nelle murature. Il problema più grave, quindi, riscontrato nella cappella era la presenza di umidità di risalita capillare che ha prodotto il collassamento di porzioni d’intonaco, il processo di polverizzazione sugli stucchi e sugli intonaci e la notevole presenza di sali superficiali. Questa prima fase è stata approfondita per stabilire le tecniche, i metodi e i prodotti da utilizzare. «In un primo momento – rileva Alcaro – mi sono basata esclusivamente sull’esperienza diretta maturata in molti anni di professione, mentre successivamente è stato molto utile la figura del restauratore Giuseppe Mantella, in quanto si è rivelato nuovamente necessario un altro approfondimento. In questo modo la conoscenza completa dell’opera ha permesso di mettere in discussione e rivalutare criticamente e coscientemente le fasi operative proposte in fase di progettazione e stabilire un corretto e definitivo programma d’intervento tecnicamente ed eticamente corretto cosi come ci eravamo prefissati in fase di rilievo. Con questa analisi si è quindi potuto definire la principale causa del degrado e stabilire l’intervento prioritario da eseguire, prima ancora di intervenire sulle parti degradate tramite interventi di rimozioni, rifacimenti, consolidamento, pulitura e finiture. Stabilita la causa ho proceduto con l’individuazione degli interventi in grado di risolvere definitivamente il grave problema di umidità di risalita capillare, lasciandomi coadiuvare dal gruppo Leonardo Solutions – Domodry attraverso il loro tecnico responsabile della Regione Calabria, l’architetto d’interni Vincenzo Mantuano, anch’egli esperto di restauro. Il progetto così concepito ha avuto parere favorevole da parte del Ministero Beni, Attività Culturali e Turismo». In seguito, si è proceduto con il consolidamento attraverso: operazioni preliminari al consolidamento e alla pulitura; operazioni di consolidamento; operazioni di disinfestazione e pulitura; rimozione elementi non idonei; operazioni di reintegrazione e protezione superficiale; rifacimenti; finiture. «Durante l’esecuzione delle opere – prosegue l’architetto Alcaro – si è effettuato un sopralluogo congiunto con la Soprintendenza alla presenza dell’arch. Francesco Vonella e dello storico dell’arte Giovanni Marrello che ringrazio per il supporto tecnico e la condivisione delle scelte operate». L’ultima fase è stata quella delle finiture sia murarie sia dell’apparato artistico-decorativo. È stata fatta una scrupolosa e attenta operazione di “descialbo”. La cupola si presenta ora nella sua veste “luminosa” ritornando allo splendore iniziale. Dagli studi fatti la decorazione iniziale risale agli anni 1930-1940 per opera di Nicola Pignatari (1890-1964). L’arco d’ ingresso alla cappella e le relative paraste decorate con racemi e motivi fitomorfi policromi con la tecnica dei dipinti a olio su muri e probabilmente eseguiti dai pittori calabresi Zimatore, Grillo, molto attivi fino ai primi anni 40 del 900, ritrova ora tutta la sua bellezza originaria e le cromie utilizzate all’epoca fatte da colori tenui e largo impiego di parti dorate. La fase finale delle lavorazioni ha riguardato l’ altare e il fastigio marmoreo, di stile neo-classico, eseguito da Michele Barillari nel 1852 che ritrova ora parte della sua bellezza originaria. Il prospetto di marmo rosa, datato 1580, presenta quattro colonne, cornice con attico e candelabro decorativo centrale offerto, nel 1580, dal vescovo Marcello Sirleto, da Pietro Borgia principe di Squillace e dal Capitolo Cattedrale. Due sportelli di legno, con intagli e artistiche pitture del sec. XVIII, custodiscono la statua del Santo e l’urna in cristallo e argento delle sue venerate ossa donata dal Vescovo mons. Michele Abbate. «L’unica nota dolente, in tutto questo antico splendore – spiega Alcaro – rimane la custodia che racchiude l’antica urna e che nulla ha in comune con lo storico e delicato contesto. Quello che sento di sottolineare, alla fine di questo meraviglioso viaggio, è che mai come in questa occasione il lavoro di squadra ripaga sempre, e quindi un grazie a tutti coloro che, ognuno per le proprie competenze, hanno reso possibile la realizzazione di questa meraviglia sia in modo diretto (operatori e addetti ai lavori) sia in modo indiretto (studiosi locali, amanti della fotografia, ecc.) mostrando disponibilità, interesse, pazienza, supporto e amore in tutte le azioni intraprese».

Carmela Commodaro

Indietro