“La folla è tutta in piedi… La folla è tutta in piedi… non commenta quasi la scena tragica cui ha assistito. Sono quasi tutti in silenzio, aspettano notizie…”
Sono passate da poco le 17.17 in Piazza San Pietro e una voce attonita sta cercando di controllare un groviglio di emozioni per descrivere in diretta la follia di un mondo che si è rovesciato. Un uomo è arrivato in Piazza San Pietro per ammazzare il Papa. Colpi di pistola, brutale dissonanza in un vocio festoso, e la solida figura di Giovanni Paolo II si accascia all’indietro, sanguinante, fra le braccia del suo segretario.
Un maestro al microfono Il cronista della Radio Vaticana ha visto e non crede ai suoi occhi. È profondamente scosso come chiunque si trovi in Piazza San Pietro, in quel drammatico pomeriggio del 13 maggio 1981. Seduto davanti al suo microfono, Benedetto Nardacci – voce tra le più belle e ricercate della Radio Vaticana dove lavora dal ‘56 – prova a dare un senso agli assurdi fotogrammi che si sono impressi nella sua memoria: il Pontefice che barcolla e cade, l’ondeggiare della folla nelle vicinanze del crimine, la concitazione del servizio d’ordine, la corsa febbrile, le urla attorno alla jeep bianca che vola oltre l’Arco delle Campane e, poco dopo, l’effetto Doppler di una sirena d’ambulanza che si perde alla disperata tra i rumori del traffico di Roma… la paralisi, rotta da singhiozzi, di 30 mila persone allibite. Eppure, le parole che Nardacci riesce ad articolare in quei secondi sono da manuale. Nella lotta tra l’ansia che lo attanaglia e il dovere di rendere conto dell’inconcepibile, è il secondo, con fatica, ad avere il sopravvento. Dapprima, a parlare sono i suoi riflessi di giornalista (“Noi […] cercheremo di prendere notizie e lasciamo aperto il canale, anzi, chiediamo alla sala controllo se il canale deve rimanere aperto o meno. Io abbandono un attimo la postazione e cercherò notizie, cercherò di sapere che cosa è successo…»). Già qui, il filo della narrazione rischia di spezzarsi: affiora l’enormità di quanto accaduto e per qualche attimo pare soverchiare anche un maestro del microfono. (“Il mio compito era solamente di riferire su una udienza generale, una delle tante, affettuose udienze generali date da Giovanni Paolo II…”). Ma è questione di un istante. Pure turbata, la voce si domina e il racconto riprende a fluire con il garbo che è la cifra stilistica tra le più apprezzate di Nardacci e di una scuola che non ammette eccessi verbali nemmeno davanti all’inverosimile. La descrizione che segue, pur con un’imprecisione figlia della distanza e dello shock (“…udienza generale troncata da quattro-cinque spari in rapida successione…”), è il segno di una cronaca che torna presto a farsi serrata, che ritrova sicurezza e dettagli (“Il Santo Padre è stato evidentemente, certamente colpito. È stato certamente colpito, lo abbiamo visto sdraiato nella vetturetta scoperta che è entrata in velocità dentro il Vaticano…”), e che a un certo punto abbina al rigore del resocontista la libertà del commentatore (“Ecco. Per la prima volta si parla di terrorismo anche in Vaticano. Si parla di terrorismo in una città dalla quale sono sempre partiti messaggi di amore, messaggi di concordia, messaggi di pacificazione…”).
Terrorismo in Vaticano Il linguaggio di Nardacci è appropriato al contesto di un Paese che è immerso da oltre un decennio in quella che i teorici definiscono strategia della tensione” – uno stillicidio quotidiano di assassinii causati dall’eversione armata di varia ideologia – e tradisce il timore che l’onda cupa degli “Anni di piombo” sia in qualche modo arrivata a lambire anche una zona franca come il territorio della Santa Sede. I morti dall’inizio dell’81, e siamo solo a metà maggio, non si contano già più e in tutti è viva la memoria dei 76 morti della strage alla stazione di Bologna, avvenuta nemmeno un anno prima.
Mentre rientra nel solco della cronaca (“…Abbiamo solamente visto il Santo Padre prima vacillare, barcollare e poi cadere di schianto in braccio al suo segretario, don Stanislao, e in braccio al suo aiutante di camera. A questo punto la vetturetta scoperta con a bordo il Santo Padre è partita a tutta velocità, è passata tra la gente, tra l’orrore della gente, ed è entrata in Vaticano attraverso l’Arco delle Campane…”), Nardacci non sa ancora nulla di Mehmet Alì Agca, né delle oscure trame che hanno portato quel pomeriggio il killer turco a inquadrare il Papa nel mirino della sua Browning calibro 9. L’idea di un possibile disegno terroristico si dissipa comunque subito dietro la pressione di dover aggiornare gli ascoltatori della Radio Vaticana dell’atmosfera surreale calata su Piazza San Pietro. (“…Ripetiamo che non ci sono state scene di panico, ripetiamo che la gente – le migliaia di persone – sono ferme, sono ferme impietrite al loro posto, non credono forse ancora a quello che hanno visto. Molti barellieri sono andati tra la gente…”).
“Io stesso non trovavo le parole…”Mentre prosegue nel suo resoconto, Nardacci non sa ancora nulla della complessa operazione chirurgica in corso al Policlinico Gemelli, né che il Papa “agonizzante […] si fermò sulla soglia della morte”, come scriverà lo stesso Papa Wojtyla in un messaggio ai vescovi italiani nel ’94. E tuttavia la sua cronaca, sempre senza soste, se non quelle necessarie a riprendere fiato, si vena per un momento di compassione (“Non sappiamo ancora la gravità o meno delle ferite subite da Giovanni Paolo II; Giovanni Paolo II che – ripetiamo – non ha fatto altro che invitare alla pacificazione, invitare alla preghiera…”). A questo punto, dagli altoparlanti viene diffuso l’annuncio dell’attentato. Nardacci tace e invita gli ascoltatori a concentrarsi su quelle parole, che forniscono una prima versione ufficiale del fatto ed esortano a pregare per la salvezza del Papa. Riprende dopo un istante, Nardacci, e adesso la cronaca dei fatti si mischia alla cronaca delle impressioni personali (“…Evidentemente, l’emozione è stata forte, ha preso un po’ tutti. Io stesso non credevo che quei colpi fossero spari, fossero proiettili esplosi contro la persona di Giovanni Paolo II. Abbiamo sentito, evidentemente, il cuore accelerare e all’inizio io stesso non trovavo le parole per descrivere…”)
Un’ammissione sincera, umana, e poi ancora il professionista che riprende le redini di una radiocronaca che mai avrebbe immaginato di fare e che, nonostante tutto, porta a conclusione: “Per chi si fosse messo in ascolto in questo momento, ripeto che il Santo Padre ha subito un attentato terroristico, è stato fatto segno da alcuni colpi di arma da fuoco e si è accasciato sulla vetturetta scoperta con la quale, dalla quale aveva già stretto centinaia, forse migliaia e migliaia di mani. Il Santo Padre, come abbiamo detto prima, si è sempre abbandonato fiducioso tra la folla, e nessuno poteva prevedere questo drammatico epilogo di questa udienza generale del 13 maggio 1981. Intorno a San Pietro – forse le sentirete anche voi dal microfono – sentiamo le auto delle forze dell’ordine, probabilmente sarà già scattata la caccia all’uomo se l’attentatore non è stato arrestato, se non è stato preso: questo non sono in grado di dirvelo. Mi trovo su uno dei finestroni della Basilica di San Pietro, quindi ho sotto gli occhi il totale della piazza…”
Dal Gemelli al mondo Mentre le parole di Nardacci si susseguono, e faranno letteralmente il giro del mondo, la Radio Vaticana reagisce subito. Cinque minuti dopo gli spari, viene trasmessa a tutte le redazioni un comunicazione con la notizia dell’attentato. Ed entro cinque minuti, la stessa radiocronaca di Nardacci viene irradiata con commento in più lingue anche sulle altre reti della Radio, collegando gli ascoltatori con Piazza San Pietro e successivamente con il Policlinico Gemelli. Al termine della radiocronaca, gli interventi delle redazioni linguistiche proseguono in diretta, ciascuno nel suo spazio, per aggiornare sullo stato di salute del Papa, fino alla sua uscita dalla sala operatoria. Informazioni di prima mano dal Gemelli vengono fornite dal direttore generale della Radio, padre Roberto Tucci, accampatosi letteralmente nell’anticamera della sala operatoria da dove riferisce tutto quanto filtra sulle condizioni di Giovanni Paolo II. La delicata operazione, guidata dal prof. Francesco Crucitti, durerà cinque ore e mezzo e non di rado le notizie diffuse da padre Tucci saranno in contrasto anche notevole con quanto circolerà sugli altri media, che non possono godere di quell’osservatorio privilegiato per una cronca che è già storia in ogni suo singolo istante. 

Alessandro De Carolis
fonte: www.vaticannews.va

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