Non avrei voluto intervenire nuovamente sulla riforma ma le ultime affermazioni dell’Assessore Gallo, a cui vanno tutti i miei auguri di buon lavoro, mi costringono a chiarire alcune questioni. L’assistenza ed i servizi sociali sono un diritto dei cittadini. I diritti sono universali, garantiti a tutti, devono avere caratteristiche strutturali e organizzative uniformi e definite, sia se offerti da soggetti che operano nel privato sia se offerti da soggetti che operano in convenzione con il pubblico. La riforma del welfare è l’applicazione di una legge dello Stato di venti anni fa che, trasferendo le deleghe sul welfare alle regioni, ha indicato modalità e termini con cui assicurare tale diritto ai cittadini. La Regione deve garantire i servizi socio assistenziali, come i servizi socio sanitari, deve assicurarsi che questi servizi abbiano stessi standard minimi, deve definire le modalità con cui i cittadini possono avere accesso ai servizi e, avendo a disposizione risorse limitate, deve decidere come concorrere alle spese perché tutti i cittadini possano accedere ai servizi di welfare. Il regolamento approvato nel 2019 definisce gli standard che le strutture socio assistenziali devono avere per lavorare e definisce il costo minimo dei servizi. L’accreditamento certifica il possesso dei requisiti alle strutture che vogliano offrire servizi sociali. Accreditare una struttura non significa riconoscere a questa la retta pagata con fondi pubblici, ma solo darle la possibilità di lavorare, come già avviene in sanità, e vuol dire ampliare per i cittadini il ventaglio di servizi in ossequio al principio di libera scelta che appartiene all’utente che non può e non deve accontentarsi dell’esistente. Dal momento che le risorse pubbliche sono limitate, come in tutto il Paese, la Regione e gli ambiti definiscono, in relazione al fabbisogno dei territori e alle disponibilità finanziarie il numero di convenzioni possibili e, considerata la scarsità di risorse, definiscono il profilo degli utenti che hanno prioritariamente bisogno di accedere ai servizi a titolo gratuito e/o con contributi decrescenti e variabili in ragione di criteri, in primis il reddito. Il rischio di disastro finanziario che paventa l’assessore non c’è, l’accreditamento delle strutture in attesa di poter lavorare non comporta automaticamente l’aumento dei costi ma solo aumento di servizi, che oggi non sono sufficienti per il fabbisogno regionale, neppure a pagamento. Non serve e non occorre demonizzare quanto è stato fatto ipotizzando scenari catastrofici per tutti coloro che operano nel settore. Mi piace ricordare che il nuovo assetto tecnico-amministrativo è figlio di un lungo ed operoso confronto con tutti i soggetti che, a vario titolo, si muovono nel sistema, a questi è andato e va ancora oggi il mio più vivo ringraziamento per i preziosi contributi che hanno saputo dare alla riforma del sociale. L’assessore fa una serie di altre osservazioni, per alcune questioni avevamo già indicato la via, per altre bisogna lavorare. Per quanto riguarda gli ambiti ed i comuni capofila, certamente vanno sostenuti nel recepire le nuove deleghe, perciò avevamo previsto, e c’era già un impegno di spesa a valere sulle risorse del fondo sociale, una cifra importante per accompagnarli nella fase attuativa. Peraltro, se ciò può tranquillizzare l’assessore, i sindaci già gestiscono risorse destinate al welfare, e in questa drammatica pandemia hanno dimostrato grande capacità di gestione, profonda conoscenza del proprio territorio e forte attenzione ai propri concittadini, con ciò dimostrando che la legge faceva una scelta opportuna indicando nei comuni i gestori ultimi del welfare. Vorrei fugare il timore dell’assessore riguardo al fatto che le risorse del welfare possano essere utilizzate per altro dai sindaci, un uso differente comporta responsabilità penali, nessun sindaco andrebbe in questa direzione, ma questo l’assessore lo sa. In ultimo vorrei far presente che le risorse di bilancio e quelle individuabili al di fuori del bilancio regionale sono coerenti con quanto previsto dalla riforma in prima applicazione, tanto più che a regolamento vigente si potranno utilizzare risorse del FSE (avevamo già abbozzato il bando) per finanziare ulteriori servizi, aggiungendo risorse a quelle ordinarie. Bisogna però dire le cose come stanno e non darsi merito di trasferimenti di risorse sui capitoli utili per la riforma. Le risorse per le quali l’Assessore Gallo si assume il merito del trasferimento con l’ultima delibera erano già state allocate dalla precedente Amministrazione sui capitoli utili per i trasferimenti agli ambiti dei Comuni. Stranamente poco prima dell’approvazione del bilancio regionale, parte delle risorse finanziarie è stata trasferita ad altri capitoli non funzionali alla riforma. Pertanto mi sembra corretto dire che l’ultima delibera fa giustizia di un erroneo trasferimento e ricostituisce la dotazione esistente. La riforma è solo all’inizio, c’è da lavorare ancora molto, diversi passaggi vanno definiti, tutto è migliorabile, ma si migliora con l’esperienza. In Emilia Romagna, tanto per citare una regione che notoriamente ha un buon welfare, dopo la delibera di avvio di attuazione della 328/2000, sono state emanate almeno altre 12 delibere e un numero consistente di altri atti per completare il percorso. Bisognava avviare il lavoro nell’interesse generale, l’ho avviato e ringrazio chi mi ha dato questa opportunità e ne ha sostenuto l’avvio, c’è stata una partecipazione corale e sentita, è stato un momento di partecipazione importante. Da tale fattiva collaborazione è nato ogni singolo punto della nuova disciplina ed appare ingeneroso trascurare, sminuire e ridicolizzare quanto è stato fatto e ciò ancor di più a fronte di un’inerzia omissiva da parte di coloro che ancora oggi censurano le nuove regole. A chi ha voluto rallentare, o meglio ostacolare questo processo evolutivo, rammento che i sistemi aperti sono da sempre alla base di crescita e di miglioramenti. Oggi l’assessore Gallo ha la possibilità di dare seguito a questa partecipazione, andare avanti, portare avanti la riforma introducendo le variazioni che riterrà più utili a qualificare il percorso, potrà valutare con tutti gli stakeholder del sociale i miglioramenti e le innovazioni, di fatto potrà dare la sua impronta in modo determinante. Ogni riforma è perfettibile, partendo però da ciò che è stato fatto per arrivare a nuove idee funzionali all’evoluzione della società. In questo senso ho lavorato, nell’interesse delle persone e della Regione, come credo abbia potuto constatare l’assessore, che peraltro ha apprezzato alcune attività che avevo avviato, come il progetto Supreme. Sono convinta che anch’egli, seppure da un’altra prospettiva, lavorerà in questa direzione andando oltre le polemiche perché oggi con la pandemia, la sfida che gli operatori, i decisori politici e l’opinione pubblica hanno di fronte è ben più difficile da vincere che continuare a discutere di questioni di vecchia data, persino ragionare di aumenti o diminuzioni di punti percentuali dei finanziamenti dei diversi fondi sociali. Non ci saranno politiche, o risorse economiche o idee innovative che potranno servire a qualcosa se non si cambia, e in profondità, la cultura e il modo di parlare del welfare e di chi del welfare ha bisogno perché vive un disagio o è portatore di una domanda. Il necessario punto di partenza è la nostra concezione della salute, essa è un bene pubblico globale, non può essere prodotto come una merce venduta sul mercato a consumatori individuali. Una politica all’altezza di questi problemi oggi dovrebbe mettere al centro dell’attenzione la protezione della salute, del welfare, del lavoro e dell’ambiente e dev’essere assicurata da standard condivisi e non posti a tutela di una cerchia di privilegiati.